Livorno: corteo antimilitarista

Manifestazione antimilitarista, Livorno 29 maggio 2004

– contro la guerra
– contro il militarismo
– contro l’intervento di truppe italiane all’estero
– contro le basi militari sul nostro territorio
– contro la militarizzazione del territorio
– contro la criminalizzazione di ogni forma di opposizione sociale

Partenza ore 16 da piazza Magenta

Il
corteo terminerà alle ore 18,30 nella medesima piazza ove si svolgerà
una festa antimilitarista con musica, teatro, interventi di
controinformazione sulle basi militari e le guerre in corso.

per informazioni:
"Ateneo Libertario"
Vico Verde Monteoliveto 4, Napoli
(tra il cinema Adriano e la facoltà di Architettura)

Questo che segue è il volantino che abbiamo diffuso durante il corteo antimilitarista di Livorno:

PACE TRA GLI OPPRESSI
GUERRA AGLI OPPRESSORI

Ora
che ci hanno avvisato del fatto che guerra significa necessariamente
torture, omicidi e sevizie, c’è da aspettarsi parole di pace da
chiunque. Infatti, le immagini apparse nelle ultime settimane in TV e
sui giornali chiariscono meglio di qualunque discorso perché un uomo
dovrebbe odiare la guerra.
Eppure noi non vogliamo parlare di pace!
Questo
perché crediamo che l’alternativa proposta dall’informazione di regime
fra le ostentate atrocità del conflitto armato e la tranquilla serenità
che uno stato democratico come il “nostro” può garantire sia una falsa
alternativa.
Le uccisioni, gli stupri e le torture, che con grande
scandalo si è scoperto coinvolgono anche degli onesti “lavoratori”
occidentali, colleghi dei celebri martiri di Nassirya, sono una
caratteristica non della guerra in Iraq, ma dell’attuale ordinamento
sociale: avvengono dovunque uno stato imponga il suo ordine mediante
militari, poliziotti, secondini, giudici, padroni.
Infatti, la
brutalità delle immagini provenienti dall’Iraq non dovrebbe farci
dimenticare che la dignità umana viene quotidianamente calpestata anche
in caserme, carceri, cliniche psichiatriche e CPT non lontani da casa
nostra. In questi luoghi l’annientamento degli individui avviene in
nome della pace sociale, così come in Iraq avviene in nome della guerra
al terrorismo. La guerra non è un episodio sfortunato determinato dallo
scontro fra religioni diverse, dalla particolare avidità di qualche
capo di stato o dalla volontà di esportare forme di governo più
evolute, ma è la condizione permanente nella quale ogni governo ci
costringe a vivere.
La guerra la viviamo tutti i giorni attraverso
il ricatto economico, la polizia e le telecamere ad ogni angolo dei
nostri quartieri, le umiliazioni del lavoro, la miseria che ci
circonda, la devastazione ambientale, la costruzione di nuove carceri,
la militarizzazione del territorio in cui viviamo. È quindi del tutto
illogico tentare di affrontare la questione, ingabbiandola nei confini
di un particolare territorio nazionale.
Per questo non riusciamo ad
unirci al coro di “Via dall’Iraq” che molti rivolgono al proprio
governo: la pace richiesta dai fautori di un Iraq libero ed
indipendente (ossia dotato di un governo ed un esercito autoctoni) non
è che la prosecuzione della guerra con altri mezzi. D’altra parte quei
servi del militarismo che lo stato dovrebbe richiamarsi sono, dal
nostro punto di vista, indesiderati dovunque vadano e sotto qualsiasi
bandiera combattano. Essi sono nostri nemici, così come lo sono anche i
molti che partecipano alla resistenza irachena con l’obiettivo di
costituire un nuovo stato. Non ci è possibile schierarci a favore di
nessuna questione nazionale: pensiamo che il popolo di qualunque
nazione sia un insieme eterogeneo di sfruttati e sfruttatori e che la
causa degli uni sia incompatibile con quella degli altri.
Disprezziamo
profondamente l’ideale patriottico, che quotidianamente viene
propagandato da giornali, televisioni, libri di storia, religioni,
politici, militari e tutti quanti abbiano interesse al mantenimento del
sistema di dominio. In nome della patria, uno sterminio diventa
missione umanitaria, gli Agnelli e i Berlusconi uomini verso cui siamo
debitori, gli immigrati un pericolo per la società, i carabinieri
martiri e le donne soldato il simbolo dell’emancipazione femminile. A
completare l’opera, la rappresentazione spettacolare dello straniero
come un esaltato privo di scrupoli incita all’odio fra gli sfruttati e
crea il clima di emergenza che giustifica la repressione interna.
Questo meccanismo terrorista, induce l’individuo a prostituirsi ai
voleri di chi si presenta come suo protettore e unica fonte di
salvezza: lo Stato. Ingoiata questa menzogna, gli sfruttati sono pronti
ad ammazzarsi gli uni con gli altri e a morire per la causa delle
industrie, delle banche, degli imprenditori e dei politici del proprio
paese. Una società fondata sul monopolio della forza armata da parte di
alcuni e sul controllo militare della parte restante di umanità
necessita di uomini pronti a battersi per difendere l’ordine
costituito, oltre a carri armati, mine antiuomo, mitra e via dicendo.
Ecco quindi spiegato perché il potere investa tante energie nella
propaganda di ideali come patria, religione, autorità e sacrificio:
tutto ciò in cui ha bisogno di credere un soldato, ossia un uomo pronto
ad uccidere e a farsi uccidere per interessi altrui.
Il nostro
antimilitarismo è, innanzitutto, il rifiuto di sacrificare la nostra
libertà al funzionamento di questa macchina di morte che è lo stato. È
odio di questa società fondata sull’oppressione e lo sterminio, ma è
anche fiducia nella possibilità di creare un mondo nuovo sulle rovine
di questo in putrefazione. È volontà di disertare la guerra degli
stati, ma è anche gioia di combattere la guerra sociale al fianco degli
oppressi e dei ribelli di tutto il mondo.
Si sente spesso dire che
gli anarchici sono terroristi. Quindi, veniamo spesso coinvolti in quei
discorsi con cui il governo giustifica i propri attacchi ai salari,
alle libertà individuali e ai diritti sanciti dalle sue stesse leggi,
come un sacrificio collettivo da compiere per fronteggiare il nemico
terrorista. Il terrore che incute allo stato tutto ciò che sfugga al
proprio controllo viene rovesciato su ognuno di noi, nel tentativo di
instaurare un assurdo vincolo di solidarietà (a senso unico) fra
sfruttati e sfruttatori. Terrorismo è senz’altro la parola adatta a
descrivere l’azione del potere quando attribuisce agli anarchici
qualunque nefandezza suggerisca la fantasia del giudice o del
pennivendolo di turno: dalle bombe nelle piazze, all’avvelenamento
delle acque minerali. Ma il terrore che esso propaganda è fondato sulla
menzogna! Gli anarchici non hanno mai colpito a casaccio fra la
popolazione, ma hanno sempre individuato i loro nemici fra i tutori del
governo e delle disuguaglianze sociali. La risposta dello stato è
sempre stata chiara: la galera per chi brucia una bandiera, rifiuta di
fare il militare o manca di rispetto ad un giudice, le manganellate sui
lavoratori in sciopero, le montature giudiziarie (come quella
orchestrata dal PG Marini, che si è recentemente conclusa, tra l’altro,
con l’attribuzione a cinque compagni anarchici del reato di “banda
armata” e di condanne che vanno dai dieci anni all’ergastolo). È dunque
evidente che pace non ve ne sarà prima che l’insubordinazione e la
rivolta si diffondano fino ad annientare il controllo militare che lo
stato ha su ognuno di noi. Siamo convinti che le pratiche dell’azione
diretta, dell’orizzontalità dei rapporti e della solidarietà
internazionalista siano un’alternativa alla rassegnazione.
Un’alternativa che vale la pena di prendere in considerazione.

Gruppo Anarchico Contropotere
www.ecn.org/contropotere

 

 

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